viernes, 26 de agosto de 2011
Mourinho, Zubeldía e il “seny” del Barcellona (Traducción de Andrea Pari)
Il Real Madrid, e in special modo il suo presidente Florentino Pérez, si trova a un crocevia. Mentre il suo allenatore, il portoghese José Mourinho, sembra finalmente aver dato la svolta tattica alla squadra, mai così vicina al Barcellona campione di tutto in questi anni, allo stesso tempo sta portando il club in una situazione senza uscita sotto il profilo del comportamento fuori dal campo di gioco, al punto da far saltare a poco a poco le strutture del calcio spagnolo con la minaccia di aumentare la tensione sociale che si sta trasformando in un pericolo reale per la convivenza in tutto il paese.
Tale e tanta è l’ira di Mourinho, tale il suo odio verso il Barcellona, tale la sua paranoia, da far credere a tutto l’ambiente e specialmente al madridismo che il club è oggetto di una persecuzione arbitrale da parte della Federazione Spagnola (RFEF), e che il suo massimo rivale ha adottato la strategia di esagerare ogni fallo subito per sfruttare la buona immagine guadagnata a livello mediatico e nell’opinione pubblica grazie alle proprie imprese (che non riconosce insinuando che sono stati ottenuti con aiuti extra).
Il portoghese, gran lavoratore sul campo, al punto da far sì che ci sia stata una contesa tra i media catalani e madrileni su quale delle due squadra abbia avuto più percentuale di possesso palla nelle due partite della recente Supercoppa di Spagna vinta dal Barcellona grazie al genio di Lionel Messi, non sembra concedersi la minima autocritica, come quando nelle ultime ore il suo portavoce Eladio Paramés (ruolo che ricoperto esternamente alle strutture del Real Madrid, quasi si trattasse di una star particolare) ha sostenuto che il suo assistito “non ha nulla di cui pentirsi” riguardo ai fatti causati nei parapiglia del Camp Nou.
In effetti Mourinho è solo andato con freddezza a mettere un dito nell’occhio all’aiutante di Josep Guardiola, Tito Vilanova (ridicolizzandolo nella conferenza stampa col nome di “Pito”, pistolino); ha visibilmente cercato di pestare Cesc Fábregas quando quest’ultimo si trovava a terra per un durissimo fallo di Marcelo (poi espulso); ha mimato un gesto come di cattivo odore quando Messi gli è passato vicino e vari suoi giocatori, come lo stesso Marcelo o Pepe, intervengono per far male agli avversari non appena se ne presenta l’occasione.
La situazione è tale che nel fine settimana senza calcio per lo sciopero della AFE (il sindacato dei calciatori spagnoli), Iker Casillas, capitano dei blancos, ha deciso di telefonare ai colleghi del Barcellona, Xavi e Carles Puyol, per abbassare i decibel dello scontro che sta minando la convivenza in nazionale. A questo proposito, Santi Cazorla del Villareal e campione del mondo, ha fatto notare che la situazione nella Roja è al “limite”.
José Sámano, prestigioso giornalista della pagina sportiva del quotidiano spagnolo El País, è arrivato a paragonare questi atteggiamenti della squadra di Mourinho con quelli del Estudiantes de La Plata guidata da Osvaldo Zubeldía a fine anni sessanta, responsabile dell’appellativo “animals” con il quale i tifosi inglesi si rivolgevano a quelli argentini e protagonista di diversi scandali come quello della finale di Coppa Intercontinentale del 1969 contro il Milan alla Bombonera, costata la fine della carriera al portiere Alberto Poletti. “È l’Estudiantes di Zubeldía, non di La Plata”, protestava all’epoca il compianto giornalista Dante Panzeri.
L’altrettanto prestigioso giornalista e avvocato ecuadoregno Ricardo Vasconcelos ha citato, a questo proposito, un grande articolo dello spagnolo Javier Marías per la rivista El País Semanal dal titolo “Uno sciamano da sagra”, in riferimento a Mourinho. Marías, noto tifoso del Real Madrid, lamentava già in questo articolo del maggio scorso il cambio di atteggiamento del suo club che, seppur guidato ora dal portoghese, è sempre andato al di là dell’ingiustizia e dei risultati contrari perché, come dice il suo inno, deve essere “cavaliere dell’onore”, un qualcosa che pare andato perso e scambiato con il Barcellona che ha fatto propri gli antichi valori dell’avversario.
La grande domanda è cosa succederebbe se, al posto di questo Barcellona, il Real Madrid attuale, pericolosamente accecato al punto di sembrare avvolto da un alone assai simile a quello del fascismo che contagia e massifica ogni giorno di più sino a giungere alla stessa stampa, avesse a che fare con un avversario disposto ad accettare la guerra e a rispondere allo stesso modo dopo ogni provocazione.
La fortuna di questo Real Madrid è che, al contrario, sull’altra sponda la dirigenza del Barcellona è mansueta, con uomini dedicati puramente al loro progetto che non hanno nemmeno denunciato Mourinho alla corte disciplinare della RFEF, in buona parte per non lasciar adito al vittimismo. In cambio, il presidente degli azulgrana, Sandro Rosell, ha avvertito che se tutto ciò dovesse continuare e non si agisce con seny (“signorilità”, secondo i catalani), “la gente finirà per aggredirsi in strada”.
Il difensore del Barcellona Gerard Piqué ha voluto scagionare i suoi colleghi del Real Madrid sostenendo che non sarebbero loro a provocare questo tipo di situazioni bensì sarebbero “trascinati da Mourinho, che se continua così, distruggerà il calcio spagnolo”.
Sono già molti, in Spagna, a credere che mai come ora il calcio inizia a manifestare un sentimento larvato nella società, specie in entrambe le città di Madrid e Barcellona che da decenni si affrontano politicamente e la cui distanza sta aumentando con i progressivi passi dei catalani verso la separazione dallo Stato spagnolo, specialmente ora che il CiU (partito catalanista Convergència i Unió) ha vinto le elezioni e governa la Catalogna.
Ciò che pochi capiscono è come può un presidente blanco come Pérez, imprenditore di valore (titolare dell’azienda Aceros y Dragados ACS, “Acciai e Dragaggi”), che in altri tempi ha varato il progetto dei Galácticos, affidandosi sempre a Jorge Valdano come direttore sportivo, aver potuto assecondare tanto Mourinho, cacciando l’argentino e concedendo all’allenatore un potere assoluto a discapito della propria figura da dirigente.
È Pérez che deve mostrare tempra e fermezza in questo momento. Bisogna fargli capire che Mourinho deve limitarsi a fare il suo lavoro da allenatore, per il quale forse è il migliore del mondo, e che se continua su questa strada forse condurrà il suo club, premiato come il miglior al mondo del diciannovesimo secolo dalla FIFA, su un sentiero senza ritorno, condannato a recitare la parte del cattivo. E, ancora peggio, si potrebbe scivolare in situazioni sociali impensate in una Spagna in crisi e nella quale il calcio opera come il gran distrattore di massa.
Trad. Andrea Pari
andrea.pari@libero.it
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